Il legame tra ansia e cibo: cosa fare se si prova ansia prima o dopo aver mangiato, e quali alimenti influenzano l’umore e la depressione?
L’ansia e l’alimentazione possono avere un impatto significativo sulla salute mentale e fisica. Ad esempio, il consumo smoderato di cibi altamente calorici può condurre ad un aumento di peso e obesità, generando comorbidità e patologie psichiche. All’estremo opposto dello spettro, anche le conseguenze della malnutrizione nelle diverse fasi della vita adulta possono avere un forte impatto sulla qualità del benessere psicologico degli individui. Sulla base di questi aspetti, è indispensabile una maggiore comprensione delle interazioni che intercorrono tra regime alimentario e aspetti fisiologici, psicologici ed emotivi ed in particolare quali possono essere gli effetti dello stile alimentare sul comportamento ansioso e viceversa.
Ansia e alimentazione
Per meglio comprendere il rapporto tra ansia ed alimentazione, è importante considerare la comorbilità sue entrambi i fronti: la prevalenza dei disturbi d’ansia tra le persone con disordini alimentari e la prevalenza dei disturbi alimentari tra i soggetti con sintomatologia ansiosa.
L’ansia descrive uno stato di preoccupazione, apprensione o nervosismo in associazione con sintomi fisici, cognitivi e comportamentali. L’ansia può essere vissuta occasionalmente ed essere adattiva se aumenta la preparazione a nuove situazioni ma se persiste ed interferisce con il funzionamento quotidiano dell’individuo, può divenire patologica.
Il problema centrale dell’ansia comporta l’assegnazione di un significato di minaccia eccessiva a situazioni o stimoli innocui che si traduce in cambiamenti cognitivi, affettivi, fisiologici e comportamentali nell’individuo. Sebbene l’ansia possa essere di per sé un problema di salute mentale, è anche collegata a esiti e comportamenti problematici relativi alla salute legati all’alimentazione. L’ansia è stata ripetutamente collegata ad una vasta varietà di disturbi alimentari, quali anoressia nervosa, bulimia nervosa così come alle forme subcliniche di questi disturbi e problemi di oscillazione del peso.
In un’ottica trifattoriale ai comportamenti alimentari, l’ansia gioca un ruolo essenziale nella determinazione di tre domini del comportamento alimentare:
- Restrizione cognitiva, ovvero una forma di controllo cognitivo associata alla tendenza a limitare l’assunzione giornaliera di cibo;
- Disinibizione, cioè un consumo eccessivo di cibo causato da una perdita di controllo per quanto riguarda l’assunzione;
- Fame, cioè la suscettibilità ai segni della fame interna o esterna.
A differenza della Restrizione Cognitiva, la Disinibizione si riferisce a un consumo eccessivo di cibo in risposta a una varietà di stimoli interni ed esterni e l’ansia agisce come uno stimolo interno che aumenta la disinibizione e potrebbe quindi contrastare temporalmente gli effetti più stabili della Restrizione Cognitiva.
Alcune forme di eccesso di cibo possono funzionare come un modo per regolare e affrontare lo stato d’ansia. Esiste, infatti, una forte relazione tra ansia e fame basata su fondamenti neurobiologici. Non solo i nuclei specifici dell’ipotalamo e dell’amigdala sono attivati tanto dalla fame quanto dalla paura ma anche i neuropeptidi che vengono rilasciati durante gli stati di fame possono regolare i livelli di ansia.
Ansia e disturbi all’apparato digerente: il legame cervello-intestino
È dunque fondato che la digestione e l’ansia abbiano una correlazione? All’interno di un modello biopsicosociale della malattia intesa come disregolazione dell’asse cervello-intestino, i disturbi psicologici, in particolare i disturbi d’ansia e la somatizzazione spesso precedono o esacerbano i sintomi del disturbo gastrointestinale funzionale (sintomi cronici o ricorrenti derivanti dal tratto gastrointestinale per i quali le indagini cliniche e di laboratorio non rivelano anomalie organiche evidenti).
L’apparato digerente è vulnerabile all’influenza dei fattori emotivi, perché la sua funzione è regolata principalmente dal sistema nervoso vegetativo e dal sistema endocrino, e il centro di entrambi i sistemi ha la stessa posizione anatomica del centro di integrazione sottocorticale del centro emotivo.
Il tratto gastrointestinale e il cervello sono intimamente connessi tramite percorsi neurali, endocrini e immunitari bidirezionali, comunemente indicati come asse intestino-cervello.
Il ruolo di questo sistema di comunicazione è quello di integrare le funzioni intestinali e collegare i centri emotivi e cognitivi del cervello con funzioni e meccanismi intestinali periferici come l’appetito, la sazietà, l’attivazione immunitaria, la permeabilità intestinale. Nello specifico è stata avanzata un’elevata correlazione tra i sintomi mentali legati allo stress, tra cui ansia e la predisposizione alle malattie gastrointestinali.
Ansia connessa ai disordini alimentari
La presenza di un disturbo alimentare come anoressia, bulimia o disturbo da alimentazione incontrollata è strettamente associata a problematiche di salute mentale. Questi problemi possono includere disturbo d’ansia generalizzato, disturbo d’ansia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo.
Coloro che presentano entrambe le categorie diagnostiche spesso sviluppano rituali compulsivi legati al cibo, come pesare ogni pezzetto di cibo o tagliarlo in piccoli pezzi, tagliare il cibo in modo simmetrico o in casi estremi, abbuffarsi. Altri atteggiamenti dannosi influenzati dai sintomi ansiosi sono il digiuno o la riduzione severa delle calorie, l’esercizio frenetico, e l’adozione di altre azioni che impediscono l’aumento di peso. L’ansia quando si mangia, così come l’ansia prima e dopo aver mangiato è comunque a questo tipo di disturbi.
Di conseguenza, la mania del controllo del cibo, del peso e dell’esercizio fisico è una forma di compulsione che fornisce a chi soffre di questo disturbo un falso senso di controllo, che può aiutare ad alleviare temporaneamente e in maniera velleitaria i sintomi legati all’ansia.
Coloro che soffrono di un disturbo da alimentazione incontrollata possono rendersi conto il loro stato ansiosa peggiora dopo un’abbuffata, il che può aggiungere carburante al circolo vizioso del disturbo. I soggetti con ansia da cibo si preoccupano delle conseguenze del mangiare o dell’impatto che diversi tipi di cibo avranno sui loro corpi.
L’ansia da cibo si manifesta quando irritabilità, nervosismo o sentimento di paura sono innescati dalla presenza di qualsiasi alimento, di determinati alimenti o in situazioni specifiche.
L’ansia da cibo può anche derivare dalla paura di un aumento ponderale del peso o dalla dismorfismo corporeo. I segnali possono includere restrizioni alimentari, senso di sopraffazione delle scelte alimentari, ossessione per il peso, per l’immagine corporea, per gli ingredienti nel cibo.
L’ansia può essere legata ai cibi assunti?
Ma il rapporto tra ansia e alimentazione non è solo questo. La tipologia di cibo assunto può avere un forte impatto sull’umore e sui livelli di stress e ansia. È stato dimostrato che alcuni alimenti possono causare un peggioramento degli stati d’ansia. In generale, un’alimentazione ricca di carboidrati e grassi saturi conduce ad alti livelli complessivi di infiammazione corporea, raggiungendo il sistema nervoso centrale e influenzando il nostro umore.
L’aumento di energia ottenuto dal consumo di zucchero in fase iniziale fa sì che molte persone desiderino ulteriori cibi zuccherati, tuttavia, una volta raggiunto il picco di energia sufficiente, i livelli di zucchero nel sangue diminuiscono repentinamente e l’alternarsi dell’aumento/calo di zucchero può innescare il rilascio di maggiore adrenalina e cortisolo nel flusso sanguigno causando ansia e talvolta attacchi di panico.
I junk food o «cibi spazzatura» quali pizza, pollo fritto, hamburger, essendo caratterizzati da scarsi valori nutrizionali, sono estremamente difficili da digerire per il corpo. Quando il corpo non è in grado di smaltire il cibo, l’eccesso di gas, il reflusso acido e altri disturbi gastrointestinali possono produrre sintomi che scatenano l’ansia.
Il consumo regolare di glutammato monosodico, utilizzato per esaltare il gusto di molti spuntini, alimenti trasformati e piatti pronti precotti, è stato collegato a stanchezza, mal di testa e ansia. Molte persone sono in grado di tollerare piccole quantità di caffeina, ma poiché la caffeina stimola il sistema nervoso centrale, un’assunzione eccessiva può portare a tachicardia, tremori, irritabilità e insonnia. La caffeina può anche inibire l’assorbimento di alcune vitamine, comprese le vitamine del gruppo B, necessarie per favorire il rilassamento e controllare l’umore.
La ricerca spasmodica di cibo “comfort” per placare l’ansia si rivela nel lungo periodo controproducente.
Dinanzi a stati di ansia e stress, l’atteggiamento comune è quello di rivolgersi al cibo per conforto psicologico piuttosto che per fabbisogno fisiologico. Il cibo costituisce una fonte di attrazione in momenti di turbamento perché ha il potenziale di migliorare il tono dell’umore, aumentare l’energia e placare gli stati turbolenti.
Ne abbiamo già parlato nell’articolo dedicato all’ansia e alle mestruazioni: in molti si rivolgono al cibo per diminuire l’ansia, ma così facendo, spesso inavvertitamente non fanno altro che aumentare la sintomatologia, creando un vero e proprio circolo vizioso. Il consumo di cibi di conforto evoca uno stato psicologicamente confortevole nell’immediato ma allo stesso tempo suscita maggiori sentimenti di colpevolezza nei periodi successivi che conducono ad un aumento dei sintomi ansiosi.
Gli inneschi emotivi del consumo di cibi di conforto possano essere previsti in modo affidabile da fattori legati all’asimmetria affettiva per cui gli affetti negativi dominano la propria esperienza, il processo decisionale ei comportamenti. Per molti individui, il consumo di cibi di conforto viene principalmente considerato come una strategia per alleviare l’ansia, la tristezza e altre emozioni negative, legate al disagio provato.
In questo contesto il cosiddetto «mangiare emotivo» è alla lunga disadattivo perché appare come un tentativo di sfuggire dalla consapevolezza negativa dei sentimenti di ansia provati, l’attenzione viene sposata sulla ricerca immediata dello stimolo che arreca piacere in quel momento facendo sì che l’individuo eviti di affrontare le problematiche che minacciano l’ego. Gli individui traggono piacere dal consumo di per le sue qualità o per le sue caratteristiche o per la gioia di mangiare sostanze «proibite» ma così facendo, mascherano i sentimenti di ansia, in modo da distrarsi dalla fonte originaria di disagio.
Senso di fame, digestione ed ansia
L’ansia cronica costituisce una grave minaccia per l’omeostasi di un organismo, evoca risposte adattative che servono a difendere la stabilità dell’ambiente interno e ad assicurare la sopravvivenza dell’organismo. Tuttavia, l’attivazione di questi sistemi adattativi allostatici può diventare disadattativa a causa di ansia frequente e portare a una predisposizione alle malattie dall’apparato digerente.
Sistema nervoso e apparato digerente comunicano continuamente tra loro attraverso nervi e segnali chimici: l’intestino invia messaggi frequenti al cervello circa la sensazione di pienezza o la necessità di movimento intestinale. Il cervello di solito smorza questi segnali nervosi provenienti dall’intestino in modo che non siano scomodi e li tiene al di fuori della nostra coscienza per la maggior parte del tempo. Questa normale comunicazione cervello-intestino a volte può andare in cortocircuito quando qualcosa disturba il cervello per un tempo prolungato, come ansia e forti emozioni negative.
L’ansia è un fattore di rischio per le malattie dell’apparato digerente: i pazienti con malattie dell’apparato digerente con disturbi d’ansia hanno spesso sintomi somatici più gravi, tempi più lunghi per il recupero dalla malattia e prognosi peggiore.
Il ruolo del microbiota intestinale
Studi recenti hanno sottolineato come il microbiota interagisca fortemente con il sistema nervoso attraverso molteplici meccanismi. Si ritiene che le perturbazioni nel microbioma intestinale facciano parte della patogenesi di varie malattie gastrointestinali oltre ad influenzare il metabolismo e contribuire all’obesità.
L’asse cervello-microbiota rappresenta la comunicazione bidirezionale tra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso enterico, che è influenzata dall’interazione del microbioma intestinale con il sistema nervoso enterico, nonché attraverso le vie di segnalazione endocrina e immunitari.
L’ansia, concettualizzata come una sfida o una minaccia che può interrompere l’omeostasi di un organismo, può alterare la composizione e la funzione del microbiota intestinale, agendo sull’intero ecosistema del tratto gastroentestinale. Il cervello invia segnali all’intestino, che influiscono sulla sua funzione sensoriale e secretoria, e in cambio riceve informazioni viscerali dall’intestino.
Trasmettendo queste informazioni al sistema nervoso centrale, l’intestino può quindi svolgere un ruolo chiave nella generazione di marcatori somatici. Ad esempio, tramite la produzione di metaboliti, il microbiota può produrre GABA e serotonina, bersagli chiave nel trattamento dei disturbi d’ansia.
Questa comunicazione bidirezionale tra il cervello e il microbiota intestinale può avere un impatto sull’ansia. Esistono prove più consistenti di un aumento dell’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene in risposta all’ansia acuta in soggetti carenti di microbiota.
L’ansia ostacola il normale processo alimentare
Un malfunzionamento intestinale, alterazioni metaboliche e cerebrali possono influire sulla regolazione dell’appetito.
Il comportamento alimentare è stimolato dalla fame e dalle sensazioni edoniche: i cibi appetibili possono stimolare l’appetito anche quando la fame è assente. In altre situazioni può verificarsi il contrario, come quando una persona si trova di fronte a una situazione stressante; quindi, la fame può esistere senza appetito.
Tuttavia, non è chiaro se queste sensazioni auto-riportate siano correlate ad alterazioni dei meccanismi gastrointestinali alla base della regolazione dell’appetito o ad un aumento dell’ansia: problemi di appetito non sono mai un sintomo primario; ci deve essere qualcos’altro collegato ad esso. In effetti, la maggior parte delle persone non si accorgono di aver apportato lievi (e alla fine significativi) cambiamenti alla propria dieta durante i periodi di stress e/o ansia.
Le modalità di reazione all’ansia, può determinare due differenti tipologie di cambiamenti dell’appetito:
- Mangiare in quantità elevate in presenza di ansia: l’assunzione di maggiore cibo è legato a sensazioni di maggiore benessere e ad un incremento del rilascio di dopamina che procura un più elevato piacere. Ogniqualvolta un individuo si senta particolarmente ansioso, gli impulsi di fame aumentano così come l’associazione tra cibo e alleviamento dell’ansia. Il corpo imparerà a collegare in maniera condizionata il mangiare con la risoluzione dei sintomi d’ansia.
- Provare meno appetito quando si è in uno stato d’ansia e di conseguenza ridurre l’assunzione di cibo: i cambiamenti emotivi riversati sul corpo colpiscono il tratto digestivo che a sua volta innesca il rilascio di ormoni dello “stress”, quale la corticotropina, provocando un decremento dell’appetito.
L’appetito non va confuso con problemi legati alla digestione: l’ansia può causare problemi di digestione, ma questi ultimi possono anche dipendere da cause diverse. Nel momento in cui una forte attivazione fisiologica determina la risposta “di fuga” nel sistema nervoso centrale, questa influenza l’apparato digestivo provocando spasmi, aumento dell’acidità e di conseguenza indigestione. Tra gli effetti digestivi che l’ansia cronica può provocare, i più comuni sono:
- Stipsi;
- Diarrea;
- Nausea;
- Aumento della frequenza cardiaca, sanguigna e respiratoria;
- Tensione muscolare;
- Tremore.
Nei casi più gravi, l’ansia può causare una diminuzione del flusso sanguigno e dell’ossigeno all’interno dello stomaco e scatenare l’insorgenza di crampi, infiammazioni, squilibrio dei batteri intestinali ed esacerbazione di alcuni disturbi gastrointestinali, tra cui: sindrome dell’intestino irritabile, malattia infiammatoria intestinale, ulcere peptiche e malattia da reflusso gastroesofageo.
Il cibo influisce sull’ansia?
Anche problemi digestivi a breve termine possono portare successivamente a problemi di salute mentale. I livelli di ansia di una persona possono essere esacerbati dalle condizioni del loro intestino e da uno scarso equilibrio nutrizionale, provando ripercussioni psicologiche a lungo termine.
Diversi studi hanno mostrato un’associazione tra minore gravità di sintomi d’ansia e sana dieta alimentare, così come tra modelli dietetici “malsani” e aumento dei disturbi d’ansia. Nello specifico, alcuni degli alimenti trigger possono portare a sviluppare sentimenti avversi per chi ha un disturbo d’ansia tra cui vergogna e disgusto verso se stessi.
Studi sull’assunzione di carboidrati hanno dimostrato una relazione tra maggiore introito di carboidrati raffinati, indice glicemico più elevato e livelli più alti di ansia. Anche i dolcificanti artificiali (aspartame, saccarina e sorbitolo) possono avere un impatto sui sintomi d’ansia.
L’integrazione di triptofano (amminoacido presente in proteine di origine vegetale e animale) può condurre ad una diminuzione dei sintomi d’ansia, al contrario una deplezione di triptofano in soggetti con disturbi d’ansia può determinare un’acutizzazione dei sintomi.
L’assunzione di cibi ricchi di zucchero, l’eccesso di carne, salumi, formaggi caffeina e caffè è associata a maggiori sintomi psichiatrici e ad un aumento della circolazione di adrenale e del cortisolo, due dei principali ormoni responsabili dello stress e di conseguenza anche ad un aumento del rischio di sviluppo di obesità, sindromi metaboliche, malattie cardiovascolari.
In molti casi, problemi di digestione possono creare dolore e disagio e contribuire ad un aumento dei sintomi d’ansia. L’ingestione di grosse quantità di gas può provocare dolori in corrispondenza dello sterno e, in caso di soggetti con attacchi di panico, dolori al petto possono spesso scatenarli.
Ansia quando mangio
Soggetti con “ansia da cibo” sono estremamente preoccupati di quelle che possono essere le conseguenze dell’assunzione di cibo e della sua tipologia sul corpo. Sebbene l’ansia da cibo non sia stata concettualizzata all’interno del “Manuale Diagnostico e Statistico Dei Disturbi Mentali” può causare disagio clinicamente significativo e interferire con le funzioni quotidiane dei soggetti. Le condotte alimentari disfunzionali che hanno origine dall’ansia si verificano quando qualcuno matura timori circa quanto potrebbe accadere se si assumessero determinati cibi. Tali preoccupazioni possono insorgere prima, durante e dopo aver mangiato.
Ansia prima di mangiare
I sentimenti di ansia prima del pasto possono variare dal nervosismo al panico intenso. Infatti, una maggiore ansia prima del pasto è stata associata a un ridotto apporto calorico nei pazienti con anoressia nervosa, e l’ansia durante i pasti è associata ad una maggiore frequenza di comportamenti alimentari disordinati come mordicchiare o strappare il cibo e maggiore psicopatologia, soprattutto tra gli adolescenti. L’ansia anticipatoria prima del pasto è associata all’ansia sociale, mentre l’ansia durante il pasto alla preoccupazione per gli errori (perfezionismo) e a bassa fiducia.
All’interno di una situazione anticipatoria, il cibo può assumere connotazioni “pericolose”, in quanto prima di mangiare alcuni potrebbero fantasticare situazioni terribili connesse ai pasti. Ne consegue che, pensieri intrusivi negativi associati a sentimenti ansiosi connessi al cibo, innescano un aumento della suddetta sintomatologia. L’ansia anticipatoria è legata a pensieri relativi alla paura di ingrassare, soffocare, essere giudicati e ai comportamenti ritualizzati (tagliare minuziosamente il cibo a pezzettini).
Il concentrare l’attenzione sul senso di sazietà, riverserà le emozioni negative annesse sul corpo che risponderà mediante un aumento della frequenza cardiaca e del respiro, sensazioni di nausea e mal di stomaco, il che determinerà a sua volta un aumento del livello disfunzionale di ansia e l’insorgenza di possibili attacchi di panico.
Ansia dopo aver mangiato
Sentimenti di colpa possono insorgere dopo aver mangiato. Persone che soffrono di disturbi d’ansia sono in lotta continua con gli ideali del perfezionismo per cui una deviazione dalla dieta salutare ordinaria o l’aver assunto grandi quantitativi di cibo può scatenare un senso di colpa tale da incrementare i sintomi d’ansia (Leggi anche: Disturbi Alimentari e Influenza dei Social Media)
Questa condizione non sempre coincide con una storia di disturbo del comportamento alimentare, sebbene i due possano essere correlati. L’ansia dopo i pasti può essere legata tanto alla preoccupazione eccessiva per il peso o l’immagine del corpo, quanto a pensieri intrusivi sulla possibilità di ammalarsi, avere un’allergia alimentare o soffocare con il cibo.
Esperienze avverse negative con il cibo, infatti, possono rievocare emozioni che si riversano sull’attuale rapporto con gli alimenti: dal soffocamento con un pezzo di cibo in età infantile, all’esperienza spiacevole in un ristorante, esperienze negative con il vomito. (sviluppo successivo di ematofobia). Questi tipi di esperienze possono procurare ansia prima, durante e dopo i pasti.
Categorie diagnostiche e condotte alimentari
Vi sono sovrapposizioni tra sintomi nei disturbi d’ansia e nei comportamenti alimentari. Le condotte alimentari e l’atteggiamento nei confronti del cibo possono differire sulla base della diversa classificazione dei disturbi d’ansia, al tempo stesso, in maniera bidirezionale, un rapporto malsano con il cibo è spesso un tentativo di affrontare problemi emotivi come i sentimenti negativi e bassa autostima:
- Il disturbo d’ansia generalizzato: comporta un’eccessiva preoccupazione in più domini e sintomi fisici associati che sono presenti per almeno sei mesi portando a disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento. Questi soggetti possono sviluppare preoccupazioni riguardanti calorie in eccesso o aumento del peso o la tendenza ad equiparare gli “errori” alimentari al fallimento. Questa sensazione si presenta durante e dopo il pasto accanto a maggiori livelli di ansia. Ad esempio, gli individui possono provare disgusto associato al mangiare e mantengono le convinzioni incentrate su un modo di mangiare “perfetto” autodefinito (ad esempio, mettere una forchetta tra un morso e l’altro, masticare il cibo dieci volte o altri aspetti rituali) il che può provocare una maggiore ansia per il mancato raggiungimento di questo standard “perfetto”.
- Il disturbo di panico: è un disturbo d’ansia caratterizzato da ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Uno dei sintomi che spesso accompagnano gli attacchi di panico è la difficoltà di soffocamento/deglutizione.
- Disturbo d’ansia sociale: implica un’intensa paura d’imbarazzo o di essere criticati in situazioni sociali, come le interazioni con gli altri o di esibirsi di fronte ad altri. Infatti, gli individui con disturbo d’ansia sociale sperimentano un’ansia intensificata quando si trovano intorno al cibo o quando partecipano a un pasto in compagnia di qualcuno. L’ansia sociale è associata all’ansia per il cibo perché l’ambiente del pasto rappresenta un evento durante il quale si può essere giudicati in base all’aspetto. Inoltre, la paura di una valutazione positiva è legata all’ansia vissuta dopo il pasto.
- Fobie specifiche: sentimenti di terrore o panico che sono sproporzionate rispetto alla minaccia reale della situazione, dell’oggetto, dell’animale o dell’attività. In relazione al cibo, possono sviluppare paure irreali circa la consistenza, reazioni allergiche o soffocamento. Definita come “paura o evitare di deglutire cibo” la fobia della deglutizione è caratterizzata dallo stimolo fobico della deglutizione che si traduce nell’evitamento di cibi basato sulle sue caratteristiche sensoriali e preoccupazione per le conseguenze avverse del mangiare con conseguenti attacchi di panico. Un altro problema di deglutizione su base ansiosa è definito come un disturbo di conversione caratterizzato da una sensazione di un nodo o di un corpo estraneo in gola quando si tenta di deglutire.
- Disturbo ossessivo-compulsivo: pensieri ricorrenti, sgradevoli intrusivi che sfociano nell’attuazione di comportamenti compulsivi al fine di alleviare l’ansia associata a questi pensieri. Anche se il disturbo ossessivo compulsivo non rientra all’interno della categoria dei disturbi d’ansia, gli studi hanno rivelato caratteristiche cognitive, comportamentali comuni. I soggetti con DOC utilizzano programmi dietetici rigidi, ruminazioni relative al cibo, ripetute misurazioni del peso e calcoli continui delle calorie.
In maniera bidirezionale, un rapporto malsano con il cibo è spesso un tentativo di affrontare problemi emotivi come i sentimenti negativi e bassa autostima:
- Anoressia nervosa: contraddistinta da distorsione dell’immagine corporea distorta e paura ossessiva di ingrassare che conduce ad un’assunzione di cibo estremamente limitata e/o aumento dei livelli di esercizio fisico.
- Bulimia nervosa: abbuffate seguite da vomito, digiuno, esercizio fisico eccessivo o utilizzo di lassativi/diuretici come mezzo per spurgare. Il ciclo abbuffata/spurgo/esercizio fisico può diventare sempre più compulsivo e incontrollabile nel tempo.
- Disturbo da abbuffata o binge eating disorder: mangiare quantità eccessive di cibo, spesso quando non si ha fame, come distrazione da altri problemi. Sopraggiungono intensi sensi di colpa, vergogna e odio verso se stessi a seguito delle abbuffate. Può comportare digiuni sporadici e diete ripetitive.
- La paura di ingrassare: presente nell’anoressia nervosa e nella bulimia nervosa o nei sintomi subclinici del disturbo alimentare, conduce alla limitazione del consumo di cibi nutrienti ad alto contenuto calorico. Questi soggetti associano il peso e la forma del corpo alla propria identità, per difendersi da sentimenti di impotenza e incapacità di controllare l’ambiente.
Nel contesto delle diverse categorie diagnostiche, il perfezionismo, caratterizzato dal continuo sforzo di raggiungere standard elevati e dall’eccessiva dipendenza dell’autostima dal successo è una componente transdiagnostica tanto dei disturbi alimentari che nei disturbi d’ansia.
Il timore delle imperfezioni è strettamente collegato a pensieri negativi e catastrofici che a loro volta contraddistinguono le diagnosi di disturbi del comportamento alimentare e d’ansia. A questo, la tendenza a pensare di non essere in grado di sopportare emotivamente il fatto di non conoscere alla perfezione tutti i possibili scenari ed eventi futuri legati al tipo di alimentazione assunta, esaspera una alimentazione disordinata.
Un’altra componente fondamentale di ambo i disturbi è l’autovalutazione negativa, definibile come la tendenza a scenari catastrofici che derivano direttamente da una valutazione negativa delle proprie capacità di gestione del cibo sia della propria capacità di autocontrollo emotivo e di recupero in situazioni di difficoltà e stress dinanzi al cibo. Infine, il bisogno di controllo, definibile come lo strenuo perseguimento e la ricerca da parte del soggetto ansioso dell’illusione di assoluta certezza di poter prevenire tutte le possibilità negative da lui stesso continuamente temute e previste nella ruminazione prima, durante e dopo i pasti, attraverso un continuo monitoraggio e manipolazione del peso e del cibo è prototipico di anoressia e bulimia.
Come l’ansia si esprime prima, durante e dopo l’assunzione di cibo
L’ansia “patologica”, quindi, può manifestarsi con:
- Pensieri e sensazioni angoscianti e stressanti in relazione al cibo;
- Sintomi fisici gastrointestinali (nausea, gastrite, reflusso gastroesofageo, diarrea, sindrome dell’intestino irritabile) soprattutto dopo aver mangiato;
- Comportamenti alterati: agitazione, aumento/diminuzione dell’appetito, mangiare molto velocemente o molto lentamente; mangiare solo determinati tipi e quantità di cibo; evitare situazioni sociali che coinvolgono il cibo, giocare con il cibo piuttosto che mangiare; recarsi in bagno subito dopo i pasti.
Cosa fare in caso di ansia prima di mangiare?
La diagnosi di un disturbo alimentare dovrebbe basarsi su uno screening positivo secondo i criteri diagnostici utilizzati.
La diagnosi di anoressia nervosa viene posta in presenza delle seguenti caratteristiche:
- La sopravvalutazione della forma e del peso; cioè, giudicare l’autostima in gran parte, o anche esclusivamente, in termini di forma e peso;
- Il mantenimento attivo di un peso corporeo eccessivamente basso. Questo è comunemente definito come mantenere un peso corporeo inferiore all’85% di quello previsto o un indice di massa corporea.
Per una diagnosi di bulimia nervosa devono essere presenti tre caratteristiche:
- Sopravvalutazione della forma e del peso, come nell’anoressia nervosa;
- Abbuffate ricorrenti. Una “abbuffata” è un episodio di abbuffata durante il quale viene mangiata una quantità oggettivamente grande di cibo per le circostanze e vi è un senso di perdita di controllo di accompagnamento;
- Comportamento estremo di controllo del peso, come vomito autoindotto ricorrente, abuso regolare di lassativi o marcata restrizione dietetica.
Nell’anoressia nervosa, i pazienti diventano sottopeso a causa della persistente e severa restrizione sia della quantità che del tipo di cibo che mangiano. Oltre a rigide regole dietetiche, alcuni pazienti si impegnano in eccessivo esercizio fisico, che contribuisce ulteriormente al loro basso peso corporeo.
I pazienti con bulimia nervosa assomigliano a quelli con anoressia nervosa sia in termini di abitudini alimentari che di metodi di controllo del peso. La caratteristica principale che distingue questi due gruppi è che nei pazienti con bulimia nervosa i tentativi di limitare l’assunzione di cibo sono regolarmente interrotti da episodi di abbuffate (oggettive). Questi episodi sono spesso seguiti da vomito compensatorio autoindotto o uso improprio di lassativi. Le caratteristiche dell’ansia sono prominenti in questi pazienti. Alcuni di questi pazienti praticano autolesionismo e/o abuso di sostanze e alcol e possono attirare la diagnosi di disturbo borderline di personalità. La maggior parte ha pochi disturbi fisici, anche se possono verificarsi disturbi elettrolitici in coloro che vomitano o assumono frequentemente lassativi o diuretici.
I trattamenti
Grazie a una migliore comprensione della psicopatologia dei disturbi del comportamento alimentare e dei meccanismi d’ansia che li mantengono, un trattamento unificato per i disturbi del comportamento alimentare negli adolescenti e negli adulti è stato sviluppato. Per il paziente con un disturbo alimentare completamente diagnosticato, è giustificato un intervento interdisciplinare. Il trattamento dovrebbe rispondere alle esigenze mediche, nutrizionali e psicologiche del paziente.
Alcuni dei principali trattamenti psicologici utilizzati per aiutare le persone con disturbi alimentari sono:
- Terapia familiare: i membri della famiglia lavorano insieme come una squadra per gestire direttamente il comportamento;
- Terapia cognitivo comportamentale: si concentra sull’insegnamento del riconoscimento dei propri pensieri e convinzioni negative, spronando a sfidarli in modo da poter cambiare il tuo comportamento);
- Psicoterapia interpersonale: si concentra sul legame tra quando e come sono iniziati i sintomi e sui problemi interpersonali;
- Psicoterapia psicodinamica: si focalizza sulle problematiche inconsce.
Qualunque sia il trattamento intrapreso è necessario stabilire un “mangiare regolarmente”. È necessario struttura le giornate delle persone e, per i pazienti sottopeso, introdurre pasti e spuntini che possono essere successivamente aumentati. I pazienti dovrebbero essere aiutati ad aderire al loro piano alimentare regolare e ad evitare di mangiare tra i pasti e gli spuntini programmati. Per raggiungere questi obiettivi possono essere utilizzate due strategie piuttosto diverse. Il primo consiste nell’aiutare i pazienti a identificare attività che sono incompatibili con il mangiare e che potrebbero distrarli dall’impulso di abbuffarsi (p. es., fare una camminata veloce) e strategie che rendono meno probabile l’abbuffata (p. es., uscire dalla cucina). Il secondo è aiutare i pazienti a riconoscere che il bisogno di abbuffarsi è un fenomeno temporaneo che può essere “sostituito”.
Il trattamento cognitivo-comportamentale
La Terapia cognitivo comportamentale (TCC) è un trattamento strutturato, composto da svariate sessioni e obiettivi prefissati. Le sessioni sono dedicate alla valutazione del paziente, alla revisione dei compiti, alla revisione della formulazione del caso, alle capacità di insegnamento e alla risoluzione dei problemi. La TCC include tipicamente le seguenti componenti:
- Sfida delle regole dietetiche. Ciò comporta l’identificazione di regole e la sfida comportamentale (come mangiare dopo le 20:00 o mangiare un panino a pranzo).
- Completamento delle registrazioni degli alimenti subito dopo aver mangiato annotando pensieri, sentimenti e comportamenti.
- Sviluppo del pensiero continuo per sostituire il pensiero tutto o niente.
- Sviluppo di strategie per prevenire abbuffate e comportamenti compensatori, come l’uso di ritardi e alternative e strategie di risoluzione dei problemi.
- Esposizione a cibi che elicitano timore; dopo che l’alimentazione regolare è ben consolidata e i comportamenti compensatori sono sotto controllo, i pazienti reintroducono gradualmente i cibi che temono.
- Pianificazione dei pasti: il paziente deve pianificare i pasti in anticipo e sapere sempre “cosa e quando” sarà il suo prossimo pasto.
- Psicoeducazione per capire cosa mantiene il disturbo alimentare e le conseguenze psicologiche e mediche.
- Prevenzione delle ricadute per identificare sia le strategie che si sono rivelate utili sia come affrontare potenziali ostacoli futuri.
- Poiché il trattamento è limitato nel tempo, l’obiettivo è che il paziente diventi il terapeuta di se stesso.
Altre componenti comunemente incluse sono:
- Cessazione del controllo del corpo
- Sfida della mentalità del disturbo alimentare
- Sviluppo di nuove fonti di autostima
- Potenziamento delle capacità interpersonali
- Riduzione dell’evitamento del corpo
Tecniche di rilassamento
Le tecniche di rilassamento sono un mezzo per raggiungere un senso di calma, in particolare durante le situazioni in cui una persona sta vivendo un aumento dell’ansia. Esempi di training di rilassamento includono immagini guidate, respirazione profonda e controllata, biofeedback, autoipnosi e altro ancora. Poiché l’applicazione di questo tipo di tecniche può aiutare un individuo a superare molte situazioni stressanti, sono particolarmente utili per il recupero dei disturbi alimentari.
Un modo per entrare in sintonia con le emozioni sperimentate è praticare la meditazione per i disturbi alimentari. La meditazione è un metodo utile per interagire con i propri pensieri e sentimenti in modo non giudicante, osservandoli. Sebbene la meditazione sia una pratica calmante, non è affatto inattiva. Al contrario, meditando, aumenti la concentrazione, e la consapevolezza evocando uno stato di presa di coscienza maggiore. Durante la meditazione, l’attenzione viene focalizzata su un oggetto sensoriale, di solito il proprio respiro. Questa attenzione porta a un monitoraggio aperto e attento delle percezioni attuali.
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