Cosa fare in caso di iperventilazione in un attacco di panico?
L’iperventilazione, ovvero l’aumento della frequenza della respirazione, è un comune attivatore di attacchi di panico e di ansia, e spesso viene confuso con essi. In questo articolo verrà spiegata l’eziologia fisiologica dell’iperventilazione e come questa sia associata ad ansia e panico: nello specifico verrà descritto come e quando si manifesta negli attacchi di panico e verranno fornite linee guida per la sua gestione.

Cos’è l’iperventilazione?
Molti soggetti affetti da attacchi di panico sperimentano l’iperventilazione. Quando si parla di iperventilazione ci si riferisce a respiri troppo lunghi, frequenti e profondi, eccessivi rispetto a quelli che sono i reali bisogni dell’organismo in condizione di riposo. Questo aumento della frequenza respiratoria ha come conseguenza una forte riduzione dei livelli di anidride carbonica nel sangue – ipocapnia – dal momento che la quota eliminata in fase di espirazione supera quella che l’organismo ha prodotto. L’ipocapnia, inoltre, porta a vasocostrizione dei vasi sanguigni che irrorano il sistema nervoso, causando sensazione di malessere, vertigini e perdita di coscienza.
L’iperventilazione è uno dei più comuni trigger dei sintomi dell’ansia e degli attacchi di panico. Infatti, essa porta a sintomi di instabilità, capogiro, debolezza, tachicardia che aumentano in una condizione di stress tale per cui si può andare incontro all’insorgenza di attacchi di panico, soprattutto nelle persone che ne hanno già sofferto in passato.
Andremo a vedere adesso il rapporto tra attacchi di panico e iperventilazione.
Iperventilazione ed attacco di panico
La relazione tra l’iperventilazione e gli attacchi di panico è complessa, tanto da rendere difficile comprendere se una sia la causa dell’altro o se siano condizioni che si presentano in simultaneità.
Quel che accade il più delle volte è che uno stimolo che per noi risulta minaccioso crea uno stato di allerta che ha funzione di proteggerci dalla paura e dall’ansia, provocando iperventilazione. Si tratta, dunque, di una normale risposta fisiologica, non dannosa, che scompare quando l’individuo smette di iperventilare.
Se l’aumento della frequenza respiratoria, indotto dall’attivazione del sistema attacco-fuga, non si riduce col tempo può condurre a una serie di altri sintomi, quali sensazione di soffocamento, asfissia, vertigini e capogiri, confusione mentale.
Questa costellazione di sintomi, invece di proteggerci dall’iniziale sensazione di paura, non fa altro che aumentare gli stati d’ansia fino ad arrivare all’attacco di panico, con sensazione di perdere il controllo del nostro corpo e della nostra mente.
È cosi che si viene a creare un vero e proprio circolo vizioso, in cui l’iperventilazione in presenza di ansia porta alla comparsa di altre condizioni di malessere, che a cascata aumentano l’ansia stessa. A livello fisiologico, inoltre, la mancanza d’aria porta a respirare ancora più velocemente e profondamente, esacerbando il panico e i sintomi ad esso correlati.
Il corollario di sintomi fisici legati all’iperventilazione può essere spesso confuso o associato con i segni dell’attacco di panico. Infatti all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM–5) per diagnosticare un Disturbo di Panico è necessario che si osservino i seguenti sintomi:
- Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
- Sudorazione
- Tremori fini o a grandi scosse
- Dispnea o sensazione di soffocamento
- Sensazione di asfissia
- Dolore o fastidio al petto
- Nausea o disturbi addominali
- Sensazioni di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento
- Brividi o vampate di calore
- Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
- Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi)
- Paura di perdere il controllo o di “impazzire”
- Paura di morire
Come accennato in precedenza, alcuni di questi sintomi si possono ritrovare anche come conseguenza della ipocapnia causata dall’iperventilazione. Pertanto, in una persona che magari ha già sofferto in passato di attacchi di panico, i sintomi dell’iperventilazione potrebbero essere confusi con un nuovo attacco di panico, portando ad un peggioramento dei sintomi stessi.
Infine non è raro che chi è già andato incontro, in precedenza, ad episodi di iperventilazione durante un attacco di panico possa crearsi associazioni mentali implicite rispetto al luogo o alla situazione in cui si sono verificati; pertanto è possibile che gli stati d’ansia o il panico possa ripresentarsi in quelle situazioni o che vengano adottate condotte di evitamento proprio per il timore di stare male.
Quali sono i sintomi dell’iperventilazione?
Come riconoscere dunque l’iperventilazione in un attacco di panic?
Durante l’iperventilazione arriva più aria ai polmoni, ma comporta anche vasocostrizione dei del sistema nervoso centrale, causando alterazioni emodinamiche. Per tale motivo, spesso, all’iperventilazione si accompagna una serie di sintomi a cui prestare attenzione durante un attacco di panico:
- Sensazione di testa leggera;
- Stordimento;
- Senso di irrealtà;
- Mancanza d’aria (dispnea);
- Tachicardia;
- Rigidità muscolare;
- Vertigini o nausea;
- Dolore toracico;
- Formicolio a mani, piedi e viso.
L’iperventilazione ha, quindi, ruolo cruciale nel mantenimento e nell’aumento dell’intensità degli attacchi di panico perché tutti i suoi sintomi accrescono l’ansia manifesta e il malessere psicologico in generale.

Cosa fare in caso di iperventilazione durante un attacco di panico?
Durante l’attacco di panico l’obiettivo primario è quello di ridurre l’iperventilazione; in particolare bisogna ripristinare la concentrazione di anidride carbonica nel sangue, portando così alla riduzione dell’ipocapnia stessa.
Anche se durante gli attacchi di panico si ha la sensazione di non avere alcun controllo, è possibile gestire l’iperventilazione mettendo in pratica qualche accorgimento.
Il primo passo è quello di ridurre l’ossigeno introdotto dei polmoni, respirando in un sacchetto di carta durante l’attacco: verranno alternati un minuto di respirazione nel sacchetto a uno senza, aumentano i livelli di anidride carbonica che portano al rilassamento muscolare. Quando non si ha a disposizione un sacchetto di carta, si può respirare tenendo la bocca e una narice chiusa.
Per ottenere effetti più a lungo termine potrebbe essere utile apprendere tecniche di respirazione e di rilassamento. La respirazione diaframmatica, ad esempio, permette di aumentare l’apporto di ossigeno e favorire il rilassamento. Questo tipo di respirazione si concentra sul diaframma per ispirare ed espirare profondamente. Tra i vantaggi di questo tipo di respirazione ritroviamo l’attivazione del sistema parasimpatico, la riduzione del battito cardiaco e dei livelli di stress e di ansia, gestendoli in maniera più efficace e promuovendo il rilassamento.
A questo si aggiunge l’apprendimento di tecniche di rilassamento che aiutino il soggetto a prendere consapevolezza del proprio respiro, ancorandolo al presente e riducendo la componente ansiogena, come per esempio rendersi consapevoli che, contandoli mentre ci si cronometra, i propri respiri al minuto sono di un numero che rientra nella media (circa 15 atti respiratori al secondo). Per prevenire l’iperventilazione, inoltre, è possibile dedicare anche solo pochi minuti della propria giornata ad altre tecniche di rilassamento. Tra queste vi è il conteggio dei respiri: è utile far sedere il soggetto comodamente e farlo inspirare, trattenere il respiro e poi espirare per pochi secondi alla volta. Un altro esempio può essere il rilassamento muscolare progressivo, mediante il quale avviene un rilassamento graduale dei gruppi muscolari di tutto il corpo.
Quando rivolgersi al medico o allo psicologo?
Nel caso di iperventilazione associata a dolore, febbre o altri sintomi è necessario consultare un medico.
Quando alla base dell’iperventilazione vi è un’eziologia ansiosa è bene rivolgersi ad uno psicologo-psicoterapeuta che aiuti nella gestione e riduzione degli attacchi di panico.
In particolare, la Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) si concentra sugli aspetti cognitivi e comportamentali del problema, partendo dal presupposto che la persona tende ad interpretare erroneamente alcune sensazioni corporee o pensieri che portano all’attacco di panico.
Nello specifico la TCC mira a ricostruire la storia del disturbo insieme al paziente, riconoscendo e individuando eventuali fattori predisponenti e pensieri che mantengono il problema. Così sarà possibile entrare in contatto con le credenze negative del paziente relative all’iperventilazione e al disturbo di panico. Nella fase successiva il terapeuta mira alla ricostruzione del circolo vizioso del panico proprio del paziente, lavorando sulla ristrutturazione cognitiva con cui le credenze passate vengono sostituire con delle nuove e più adattive e funzionali. Infine la TCC può insegnare tecniche per la gestione dello stress dei sintomi di ansia, quali respirazione controllata, rilassamento, mindfulness.
Gli attacchi di panico sono tra i disturbi d’ansia più comuni e invalidanti, ma è possibile riprendere il controllo del proprio respiro vitale con l’aiuto di uno specialista esperto.
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