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L’ansia da lavoro è un problema sempre più diffuso in tutto il mondo: per molte persone, il lavoro è infatti causa di stress, ansia e preoccupazione, che possono avere effetti negativi sulla salute mentale e fisica, influenzando anche la produttività e la qualità del lavoro svolto.
Secondo l’OMS, la salute infatti non è soltanto l’assenza di malattia o infermità, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Questa definizione è stata successivamente ampliata, con il concetto che adattarsi e gestire le sfide sociali, fisiche ed emotive è strettamente connessa alla salute, e che la valutazione del benessere è soggettiva e dipende dalle risorse personali. Gli eventi stressanti sono periodi in cui si verificano situazioni indesiderate, non programmate, non normative e/o incontrollabili, che spesso hanno conseguenze negative sul benessere fisico e psicologico. La letteratura si è molto concentrata sull’ansia connessa al lavoro e su tutte quelle dinamiche che animano i contesti lavorativi che potrebbero rivelarsi come stressor o minaccia all’equilibrio psicologico. I fattori di stress psicosociali legati all’ambiente di lavoro, inoltre, sono di particolare interesse perché possono essere prevenuti più facilmente rispetto ad altri eventi della vita, che sono spesso inevitabili. Inoltre, i fattori di stress a lungo termine che durano diversi mesi o anni possono causare malattie più gravi e contribuire a un maggiore tasso di recidiva.
L’ansia è riconosciuta come un insieme di emozioni che vengo elicitate in risposta a situazioni o eventi avversi, percepiti come inattesi e minacciosi. In merito vi è una crescente evidenza che il posto di lavoro può avere un ruolo importante nello sviluppo di problemi e disturbi d’ansia. L’ansia sul posto di lavoro, intesa come una risposta a fattori di stress, è caratterizzata da sentimenti di nervosismo, disagio e tensione sulle prestazioni legate al lavoro.
Le paure e le preoccupazioni relative al proprio contesto lavorativo non sono per nulla semplici da affrontare e spesso ci si sente sopraffatti. Il posto di lavoro, infatti, può innescare o esacerbare sentimenti di disagio psicologico, che minano il nostro wellbeing. Il burnout, per esempio, è una sindrome caratterizzata da malessere personale e sensazione di inefficienza, legata al contesto organizzativo. Originariamente il termine burnout veniva utilizzato solo in riferimento alle occupazioni in cui grandi quantità di tempo ed energie vengono spese occupandosi dei problemi degli altri. Attualmente il costrutto viene applicato a tutte le tipologie di lavoro, in quanto le sue caratteristiche sono varie e le sue espressioni del tutto individuali. Vediamo meglio di cosa si tratta.
Il burnout è generalmente concepito come una sindrome composta da tre dimensioni:
Negli ambienti di lavoro sono molte le situazioni che possono scatenare reazioni ansiose. Questi episodi di ansia possono avere effetti esperienziali e cumulativi sullo sviluppo del burnout e sulla salute emotiva. I disturbi d’ansia sono problemi di salute mentale molto comuni negli uomini e donne, più dell’abuso di droghe e alcol. Secondo l’indagine di Cigna International Health, il 91% della popolazione di età compresa tra 18 e 24 anni dichiara di essere stressato e che la maggior parte della popolazione giovanile (98%) riporta sintomi correlati al burnout. I dati 2022 della ricerca BVA-Doxa e Mindwork sul benessere psicologico nelle aziende italiane, inoltre, sottolineano che il tasso di dimissioni per questo motivo arriva addirittura al 75%.
Quando le richieste fisiche e psicologiche sul lavoro risultano elevate (ritmo, sforzo e volume di lavoro) possono insorgere una serie di segni e sintomi a cui è importante prestare attenzione. L’ansia da lavoro è diversa dal disturbo d’ansia generalizzato. Per chi soffre di ansia da lavoro i campanelli d’allarme che possono far capire che l’ambiente lavorativo è malsano e causa di disagio sono molteplici. L’onset del malessere può, inoltre, colpire diverse sfere, tra cui quella fisica, psicologica e quella comportamentale.
I sintomi fisici per chi soffre di ansia al lavoro possono essere:
I sintomi psicologici per chi soffre di ansia al lavoro possono essere:
I sintomi comportamentali per chi soffre di ansia al lavoro possono essere:
Gli stati di attivazione generati dall’ambiente lavorativo possono causare ansia di stato, ovvero quell’insieme di sintomi ansiogeni connessi ad un evento o ad una situazione circoscritta che perdura per un tempo limitato. Quando, però, andare a lavoro o l’esposizione a determinate caratteristiche del proprio impiego inducono disagio pervasivo e persistente, l’ansia può trasformarsi in un vero e proprio Disturbo d’Ansia, tra cui i più frequenti sono la Fobia Specifica e il Disturbo d’Ansia Generalizzato.
I disturbi d’ansia vengono poi facilmente mantenuti e sorretti da alcuni meccanismi mentali: fra questi la ruminazione può essere definita come la tendenza a concentrarsi passivamente e ripetutamente sui propri sintomi di angoscia e sulle circostanze da cui derivano questi sintomi, con la funzione adattiva di focalizzarsi su un evento o situazione per comprenderne i meccanismi. Quando questo meccanismo è connesso al mondo lavorativo, risulta caratterizzato da pattern di pensiero negativi, ripetitivi e non costruttivi riguardo argomenti legati alla propria occupazione, anche al di fuori dell’orario di lavoro. Questo non fa altro che esacerbare gli stati d’ansia, già vissuti come reazione agli stressor lavorativi, innescando così un circolo vizioso.
I soggetti che sperimentano malessere all’interno del contesto lavorativo possono sperimentare, inoltre, quella che viene denominata ergofobia, dal greco εργον (ergon, lavoro) e φοβος (phobos, paura), caratterizzato da una classica reazione di ansia fobica riguardante lo stimolo sul posto di lavoro. Tali paure anomale e incontrollate, oltre a causare la comparsa di sintomi legati all’ansia, mettono in moto meccanismi di evitamento della situazione ansiogena, tipici delle fobie, rendendo difficoltoso persino recarsi sul posto di lavoro, con conseguente assenteismo.
L’escalation dei sintomi ansiosi può, infine, comportare l’insorgenza di attacchi di panico, durante i quali l’attivazione fisiologica si accompagna alla sensazione di aver perso totalmente il controllo.
Le cause dell’ansia connessa al lavoro sono contraddistinte dalla interazione tra variabili situazionali e individuali.
La ricerca indica che i fattori situazionali sono quelli maggiormente correlati al fenomeno. Tuttavia, si ottengono interventi più efficaci e a lungo termine quando si prendono in considerazione entrambi i fattori.
Per quanto concerne le cause relative al contesto lavorativo, tra i primi da annoverare ritroviamo:
Infine, tra le cause da imputare alla natura del lavoro e alla sua struttura vi sono i problemi che minano lo sviluppo della carriera: paradossalmente lo stress derivante dalla mancanza di sicurezza del lavoro spesso ha il potenziale di ostacolare l’avanzamento di carriera e può a sua volta incidere negativamente sul senso di benessere e l’impegno dei dipendenti nel lavoro.
Si rende necessario sottolineare come i cambiamenti sociali, culturali ed economici della nostra società modellino anche il contesto organizzativo, ad esempio l’aumento d4354i ridimensionamenti e le fusioni, imponendo importanti conseguenze sulla vita dei dipendenti. Tali cambiamenti incidono anche sul benessere psicologico. Sta diventando sempre più comune che ci si aspetti che i dipendenti si spendano di più in termini di tempo, impegno, competenze e flessibilità, ricevendo meno in termini di opportunità di carriera, retribuzione e sicurezza del lavoro.
D’altra parte è stato dimostrato che le relazioni sociali di supporto influiscono su eventi di vita stressanti e una varietà di sintomi fisici e psicologici, direttamente o mediando la relazione tra stress e salute. I rapporti interpersonali che intercorrono tra colleghi o con i superiori si rendono così importantissimi per il mantenimento di uno stato di benessere psicofisico all’interno dell’ambiente lavorativo:
L’ansia è considerata come una reazione psicofisica ad eventi inattesi o a noi sconosciuti. Sicuramente il primo giorno di lavoro rientra tra le situazioni in cui l’incertezza e la scarsa familiarità con un nuovo contesto in cui dobbiamo inserirci possono innestare stati ansiogeni. L’idea di non riuscire ad immaginare i possibili scenari che si presenteranno porta, pertanto, a sopportare a fatica dal punto di vista emotivo le situazioni nuove e genera ansia anticipatoria rispetto a ciò che potrebbe accadere, spesso con visioni pessimistiche e negative.
Ci sono senza dubbio aspetti della nostra personalità e del nostro temperamento che influiscono sulla percezione delle dinamiche lavorative e sulla possibilità di sviluppare stati ansiosi ad esse connessi.
Data l’importanza sempre maggiore che assume il benessere psicologico in tutti i contesti di vita, compreso quello psicologico, numerose ricerche si sono poste come obiettivo quello di rintracciare dimensioni individuali che si possono tradurre in fattori di rischio prototipici di disagio psichico.
La personalità di tipo A incorre maggiormente in sintomi d’ansia, depressione ed esperienze lavorative negative, quali l’insoddisfazione e la tensione nel contesto organizzativo. In generale, il modello di comportamento di tipo A è riconosciuto come uno stile personologico caratterizzato da risposte comportamentali estreme, come competitività, pressioni per l’avanzamento professionale, intensi sforzi per il successo, perdita di cognizione di tempo, aggressività, ipervigilanza e incapacità di rispondere ai segnali corporei di stress. Tutte queste caratteristiche personologiche rientrano tra i sintomi dell’ansia correlata al lavoro.
L’affettività negativa è definita come la tendenza di un individuo a sperimentare una varietà di emozioni negative nel tempo e nelle situazioni. I soggetti caratterizzati da affettività negativa pertanto sperimentano maggiore disagio e tensione psicologica sul lavoro, che si riflettere in cattive attitudini lavorative come l’insoddisfazione e alti livelli di stressor percepiti.
Un’altra dimensione personologica rilevante appare il locus of control, che riguarda le aspettative generalizzate delle persone che possono o non possono controllare gli eventi della loro vita. Le persone che credono di poter agire controllo sulle situazioni hanno un locus of control interno, mentre quelle che ritengono che siano forze esterne o la fortuna a controllare gli eventi o gli esiti delle loro azioni hanno un locus of control esterno. Numerose ricerche suggeriscono che questi ultimi trovano l’ambiente lavorativo più minaccioso e stressante e incorrono maggiormente in stati ansiosi.
Spesso l’ansia si traduce in paure e preoccupazioni eccessive o comunque sproporzionate rispetto alla situazione che si sta vivendo. Il timore dell’errore, o perfezionismo patologico, è una sfaccettatura dell’ansia, legata alle prestazioni elevate e ai pericoli ad esse connessi. Oltre al porsi obiettivi lavorativi sempre più elevati, i soggetti contraddistinti da tratti personologici di tipo perfezionistico non riescono ad ammettere il fallimento e pertanto la paura di compiere errori diventa una costante della loro quotidianità.
L’intrusività e la pervasività di tale paura non fa altro che alimentare l’ansia, producendo arousal e attivazione sul piano fisiologico e psicologico. Attenzione quindi alla tendenza a sottolineare gli errori e le imperfezioni nei compiti eseguiti piuttosto che i risultati positivi, a temere o prevedere che gli errori conducano insesorabilmente a conseguenze negative e catastrofiche.
Comprendere nel profondo le caratteristiche individuali e situazionali che innestano ansia correlata al lavoro, così come individuare gli outcomes e le conseguenze psicologiche che tali situazioni possono arrecare, aiuta senza dubbio a determinare le strategie da adottare al fine di prevenire o intervenire sulle criticità al fine ultimo di garantire il benessere dell’individuo a lavoro.
Per combattere gli stati ansiosi e i vissuti negativi derivanti dalla sindrome da burnout è, infatti, consigliabile:
È ben noto che il lavoro impegna una grossa fetta del nostro tempo e richiede gran parte delle nostre risorse ed energie; pertanto vivere occasionalmente dei momenti di stanchezza, di ansia e di incertezza non è così insolito.
La portata dei problemi legati al lavoro, però, varia da problemi temporanei dovuti a perdita di energia, ridotta capacità di concentrazione e ridotta soddisfazione lavorativa a compromissione delle prestazioni lavorative a causa di disfunzioni cognitive, affettive e interpersonali più a lungo termine, congedi per malattia ricorrenti e disabilità professionale.
Se, pertanto, il contesto organizzativo, il ruolo che ricopriamo o alcune caratteristiche proprie del nostro funzionamento conducono a stress elevato e ansia ricorrente è bene rivolgersi prontamente ad un professionista. La scelta migliore da fare è iniziare un percorso di psicoterapia. Vediamo le possibili opzioni.
La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) è l’ausilio d’elezione di cui avvalersi per la gestione dell’ansia e dei sintomi relativi all’attivazione fisiologica. Essa, infatti, conduce verso una vera e propria ristrutturazione di tutti quei pensieri che sorreggono il circolo vizioso dell’ansia anticipatoria, della paura di sbagliare, andando così a scardinare anche gli agiti disfunzionali che più o meno inconsciamente mettiamo in atto per placare il senso di sopraffazione o per evitare le situazioni che in quel momento vengono individuate come fonte del malessere psicologico.
La TCC, altresì, aiuta ad individuare i pensieri automatici che portano ad interpretare la realtà in modo negativo e a correggerli, scacciando quel fumo che annebbia la vista, ma soprattutto la nostra mente. Psicologi psicoterapeuti che applicano la TCC saranno, infine, in grado di fornire nuovi strumenti da poter utilizzare nelle situazioni che creano ansia, come l’attuazione di programmi d’azione o la scomposizione di macro obiettivi in compiti graduali.
Anche la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) risulta essere efficace per combattere i meccanismi di ripristino di modi negativi di pensare e sentire che contribuiscono alla ricorrenza e alla ricaduta dello stato ansioso. La MBCT mira, infatti, alla riattivazione cognitiva e alla consapevolezza che aiuta il paziente ad accettare pensieri ed emozioni avverse e ad adottare un atteggiamento aperto, ricettivo e flessibile rispetto all’esperienza momento per momento.
Ultime, non per importanza, sono le tecniche di rilassamento, utili da mettere in pratica proprio nei momenti di maggiore stress o quando viviamo stati ansiosi, cercando di rilassare i nostri gruppi muscoli e di compiere esercizi di respirazione che favoriscono il ripristino dell’omeostasi psicofisica.