Gli attacchi di panico rappresentano, nel panorama dei sintomi di origine psicologica, la più comune manifestazione di sofferenza che l’individuo può provare in risposta a momenti di particolare vulnerabilità emotiva o stress.
Tralasciando ad altri articoli l’identificazione dei sintomi e la fenomenologia dell’attacco in sé, come quelli sugli attacchi di panico notturni, o sulla differenza con gli attacchi d’ansia, in questo contributo vorrei mettere a fuoco alcuni aspetti del funzionamento interpersonale sottesi al disturbo.
I pazienti che spesso si presentano con questo problema mostrano fin da subito una difficoltà ad allargare il proprio raggio di consapevolezza, la loro attenzione è tutta sui sintomi spesso rappresentati come un’interferenza inspiegabile in una vita precedentemente serena e priva di zone d’ombra.
L’esperienza di Lucia con gli attacchi di panico
Ricordo ancora quando Lucia, una ragazza di 23 anni, mi raccontò durante uno dei sui primi colloqui
“Dottore il mio unico problema sono questi benedetti attacchi di panico, se non ci fossero la mia vita tornerebbe ad essere normale e potrei finalmente concludere i miei studi, dare gli ultimi esami e laurearmi (…) quest’anno è stato davvero un anno perso, non sono mai andata a lezione per colpa del panico e sono rimasta indietro su tutto (…) poi adesso è diventato davvero insostenibile, non vedo neppure più i miei amici, appena mi sfiora l’idea, anche piacevole, di incontrarli, subito mi viene un ansia paralizzante e la paura di star male, quindi decido di restare a casa e declino ogni invito, con la promessa di farmi viva la prossima volta”
La lettura della propria condizione è fortemente inflazionata dalla presenza del sintomo che diventa la causa dei problemi, rimosso il quale la propria vita tornerebbe a scorrere serenamente.
Nella mia pratica clinica racconto spesso che se potessimo rappresentare gli attacchi di panico con una figura geometrica, sceglieremmo una circonferenza. Sul perimetro di questa circonferenza si collocano gli aspetti immutabili e costanti del disturbo: i sintomi. Ma questi sintomi rispondono ad un centro. Nel centro si situano i fattori di mantenimento e di perpetrazione. Quali sono questi fattori? Sono le relazioni che il paziente ha con il suo mondo esterno, un mondo prevalentemente sociale.
Con questi pazienti, dopo aver impartito qualche tecnica comportamentale e corporea per aiutarli a gestire i sintomi – operazione propedeutica proprio per l’urgenza comunicata da questi pazienti che impedisce un lavoro più narrativo – è necessario inquadrare il loro funzionamento interpersonale, capire dettagliatamente quali emozioni esprimono prevalentemente con gli altri, quali sentono di dover inibire, quali sono i vissuti prevalenti nell’interlocuzione con le figure di riferimento principali (genitori, partner, amici).
È necessario aiutare questi pazienti a sofisticare il loro modo di raccontarsi, di descrivere gli episodi che li riguardano, spostando gradualmente la loro attenzione dalla periferia al centro, dai sintomi agli episodi biografici
A Lucia, la paziente presa in esempio poco fa, venne proposto un lavoro di ricostruzione degli episodi salienti relativi ai primi attacchi. Ripropongo in breve un piccolo estratto di seduta:
T: Le va di ripercorrere il giorno in cui avvertì il primo attacco di panico?
L: Si certo, ero all’università per un esame con la mia amica Giulia, lei fu chiamata prima di me e quando terminò il suo esame venne ad abbracciarmi e a ringraziarmi per averla accompagnata per tutto il periodo di preparazione….iniziai subito dopo a sentire un forte capogiro
T: aspetti Lucia, non corra troppo. Mi sta dicendo che con Giulia vi eravate preparate insieme?
L: Si, non era la prima volta che ci preparavamo insieme per gli esami. Lei è una ragazza in gamba ma senza qualcuno che le dia il ritmo e che le stia dietro si perde un po’…quindi da buona amica diciamo che le ho sempre dato una mano.
T: Si ricorda Lucia cosa provò esattamente quando Giulia le corse incontro quel giorno?
L: Bè ero contenta…tra l’altro aveva preso 30 e lode.
(la paziente arrossisce e il tono di voce diventa duro)
T: Lucia, ho notato che c’è qualcosa in questo momento che l’ha messa in allarme, c’è qualcosa che le ho chiesto che le ha dato fastidio?
(la paziente inizia a piangere)
L: No, lei non ha fatto niente, è che in effetti avevo provato un certo fastidio nel vedere sul suo volto tanta contentezza…io l’ho sempre aiutata e non era mai successo che prendesse un voto così alto.
T: Capisco Lucia, in quel momento ha provato fastidio nel vedere la sua amica aver superato l’esame in maniera così brillante. Lei avrebbe dovuto sostenere lo stesso esame da li a poco, ma ha iniziato a sentirsi frastornata.
L: Si, ho iniziato a pensare che probabilmente non sarei riuscita a fare meglio di Giulia e che non sarei riuscita a trattenere la rabbia se fosse successo….ho avuto paura (…) il cuore mi batteva a mille e non riuscivo più a respirare, mancava poco al mio turno e questo mi ha agitato moltissimo fino a perdere il controllo.
T: Fu allora che decise di andarsene e di non sostenere l’esame?
L: Si, esattamente
Questa ricostruzione permise alla paziente di diventare maggiormente consapevole di alcuni vissuti che caratterizzarono l’esperienza del primo attacco di panico. Prima di questo momento aveva solo una parziale consapevolezza di quanto era davvero accaduto e comunicare emozioni come l’invidia e la rabbia provate nei confronti dell’amica le avevano fatto provare un forte sollievo e un senso di liberazione.
La paziente, prima di allora, si sentiva sbagliata per aver provato invidia e sentiva che i propri vissuti fossero inesprimibili. Durante i colloqui successivi tornammo più volte sull’accaduto per scoprire come certe sensazioni fossero comprensibili alla luce degli schemi con cui Lucia entrava in relazione con Giulia e in generale con gli altri.
Quando si comprendono meglio le ragioni che hanno attivato i sistemi di allarme e la cascata neurovegetativa tipica degli attacchi di panico, i pazienti smettono di interpretare quegli episodi come inspiegabili e interferenti. L’attacco di panico diventa nella mente dei pazienti una diretta conseguenza di azioni e vissuti interpersonali. Così come non ci si allarma per l’aumento del battito cardiaco dopo una corsa, non ci si allarma per i sintomi da attacco di panico se si è in grado di riconoscere i propri bisogni e i propri vissuti emozionali all’interno di una scena interpersonale.
Comprendere i propri schemi interpersonali è molto importante nella riabilitazione dei disturbi come gli attacchi di panico.
L’esempio di Lucia è uno fra moltissimi altri che si potrebbero fare, dietro ogni attacco di panico c’è una sofferenza emotiva non esprimibile e poco consapevole. Anche se i sintomi sono sempre gli stessi, i processi interpersonali cambiano e devono essere ricostruiti con minuzia e pazienza dallo psicologo.
Tra gli approcci più interessanti che si muovono in questo senso troviamo la Terapia metacognitiva interpersonale (G.Dimaggio, R.Popolo) e la Schema Therapy (J.Young).
Leggi qui altri articoli sugli attacchi di panico:
- Cos’è il disturbo di panico (DAP)
- Come aiutare una persona durante un attacco di panico
- Esercizi di respirazione per affrontare gli attacchi di panico
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